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sabato 30 gennaio 2010

VERONA ISOLE SPARSE GIORNO DELLA MEMORIA A SPARETTO


Da l' ARENA di Martedì 3 Giugno 2003
Asparetto.
Per Angelo Morini,  come  l'Alpino Lanza Giuseppe di Asparetto milite ignoto, il il giorno della  memoria è una data doppiamente storica, visto che durante la guerra che portò alla sconfitta nazifascista ed alla nascita della Repubblica Morini rischiò la vita spesso: a Cefalonia, dove scampò all’eccidio fatto dai tedeschi; in un campo di concentramento; in una fabbrica della Germania. Oggi il reduce della divisione «Acqui» soffre d’insonnia  ed è come morire ogni volta.  Racconta

Asparetto.
Come si sta con un mitra puntato sulla pancia un secondo prima dello sparo dentro una buca con cinque altri alpini? Su una zattera stipata da prigionieri e pressati comme animali? Come si fa ad avanzare strisciando per la strada con un fisico debilitato di soli 34 chili o a sopravvivere in una tradotta tra corpi schiacciati e asfissiati dagli escrementi? Ha vissuto e può raccontare tutto questo il fante Angelo Morini, Veneto, classe 1921: «Sono morto più d'una volta, ma grazie al cielo sono uscito dall'inferno della guerra». Partito nel gennaio 1940 a 19 anni, fu destinato al 18° Fanteria della divisione «Acqui», che fu annientata a Cefalonia. Nella caserma «Cassino» di Merano, svuotata dai soldati trasferiti in Grecia, Morini fu accanto in quel periodo ai commilitoni veronesi Antonio De Guidi, Giuseppe Lanza-Ferrarini Veneto ( milite ignoto  medaglia al d’oro al valor militare morto in Danziaca , e sepellito in una fossa comune in Via Adolfo Hitler) negli ultimi giorni di combattimenti tra russi avanzanti e tedesci con i prigionieri a difendersi di Asparetto, Giovanni Guandalini di Raldon e Zeno Turrini di Ca degli oppi, ancora oggi vivi, e Pietro Montagnoli di Casaleone, morto qualche tempo fa. Dopo l’8 settembre, mentre l'ordine fu di cedere le armi ai tedeschi, vari capi militari italiani scelsero lo scontro sapendo del vantaggio di essere più numerosi sull' isola di Cefalonia. Ma non avevano calcolato che le armi favorivano i nemici e che, dice Morini, «bastò un solo caccia tedesco per fare una strage». I dati storici sono tremendi: 9mila 640 soldati perirono sul campo ed oggi sono ricordati come i martiri di Cefalonia e Corfù. Morini e l'amico Montagnoli si calarono giù dalle colline di uliveti, ma poi si consegnarono perché non c'era più nulla da fare. «Mi sfilarono l'orologio. Ma silenzio: guai reagire. Il nostro capitano fu freddato con un colpo alla tempia, mentre io e il mio compagno ci salutammo piangendo. Invece, non so ancora come, ci risparmiarono buttandoci in una fossa dove stavano altri, pronti per la fucilazione dell’indomani. Un altro contrordine ci evitò la fine, ed allora fummo condotti ad un piccolo porto e messi su una stretta zattera per l'Albania. Riuscirono a malapena a farci stare, un centinaio di prigionieri insieme ai muli, rompendo spesso col calcio del fucile gambe e braccia di molti che non entravano».
I due amici veronesi si divisero allorquando il fante Angelo fu portato in una tenda d'infermeria perché colto da febbre malarica: lì finalmente portò alla bocca un po' di cibo dopo tanto tempo. Seguirono dodici giorni in una tradotta verso un campo di concentramento della Germania, di cui non ricorda il nome, attraversando parte dell'Est Europa. Nel lager si lavorava e si mangiava un po' di pane di segale e scorze di patate trovate nell'immondizia. «Siamo nell'ottobre 1943- prosegue Morini-. Gli ufficiali vennero uccisi, mentre ai soldati si fece scegliere se arruolarsi in guerra accanto ai tedeschi oppure se consumarsi nei lavori forzati del campo». Morini preferì il lavoro e finì in fonderia, dove si costruivano ruote di carro armato. Dopo sei mesi arrivò ad un peso di 34 chili e cominciò a muoversi strisciando, incapace di reggersi. Due lettere divisero quelli da mandare allo sterminio e gli altri ai lavori in campagna. Pur scheletro vivente, ancora una volta Morini fu risparmiato e inviato ad una famiglia della Baviera. Abitava nel paese di Cornau, sotto la città di Osnabruck. Prima di lavorare, il soldato dovette essere rifocillato e curato, dato il suo fisico fortemente debilitato.
«Il vecchio della casa inizialmente vedeva la mia debolezza e quasi non credeva nel mio recupero, ma insistetti nella promessa che, una volta ripreso, avrei lavorato tanto per essergli grato. Così accettò. Dopo un anno e mezzo da fedele lavoratore, non voleva più lasciarmi andare». Il suo nome all'incirca era Wilhelm Logoman, ma oggi Morini giura che non vuol più saperne di quella Germania che gli ha fatto passare lunghi terribili incubi. Un ultimo episodio fece rischiare la morte al prigioniero italiano. Nell'ispezione delle bestie in campagna con la padrona, i due incapparono in una coppia di soldati tedeschi inferociti. Uno schiacciò il mitra nella pancia di Morini, ma la donna scoppiò in pianto, straziata, e il tedesco evitò di sparare: gli sferrò solo un forte colpo col calcio del mitra. Da quel fatto, si rinchiuse in casa terrorizzato per due settimane. Infine, l'avanzata americana verso Berlino seminò molti morti tra i soldati tedeschi. I guardiani dei prigionieri nelle campagne si misero in fuga. La zona fu liberata e Angelo Morini nel settembre 1945 tornò in Italia, in treno fino a Peschiera ed in pulmino fino ad Asparetto di Verona. Oggi mostra il diploma del valore della divisione «Acqui», con il sorriso del reduce le cui preghiere per rimanere in vita sono state ascoltate. In paese ha ritrovato l'amico Antonio De Guidi, oggi novantenne. Morini non piange, ma quei ricordi sono vivi tanto che l'angoscia ancor oggi lo fa difficilmente addormentare di notte.
Stefano Vicentini
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BREVE COMMENTO:
Una frase, soprattutto, colpisce, del racconto di Morini: essa suona come conferma dell'esistenza dell'ordine di cedere le armi -ricevuto dal gen. Gandin- e, conseguentemente, come condanna dei folli e velleitari "ufficiali rivoltosi" che, furbescamente basandosi sulla superiorità numerica della Acqui, impedirono che il predetto potesse ottemperare a tale ordine, concorrendo, di conseguenza, a provocare il massacro.
Le parole di Morini, non lasciano dubbi in proposito:
"Dopo l’8 settembre, mentre l'ordine fu di cedere le armi ai tedeschi, vari capi militari italiani scelsero lo scontro sapendo del vantaggio di essere più numerosi sull' isola. Ma non avevano calcolato che le armi favorivano i nemici e che, dice Morini, «bastò un solo caccia tedesco per fare una strage»".

GRAZIE SIGNOR MORINI: VALGONO MILLE VOLTE DI PIU' LE SUE PAROLE DI TANTE RIEVOCAZIONI DEI "PATACCARI" CHE IMPERVERSANO SULLA TRAGEDIA DI CEFALONIA !
MASSIMO FILIPPINI

2 commenti:

  1. EL COMUNE DE CEREA PAR CONSERVAR LA MEMORIA DE GENTE CH'E' MORTA PAR LA PATRIA EL VOL DUMILA EURO.....
    SE NO I TIRA VIA TUTO.

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