Tra un anno il tribunale chiude Delusione e fosche previsioni
LEGNAGO. L'amarezza dei dipendenti è palpabile per la sparizione di un presidio della giustizia che funzionava bene. Dodici i dipendenti che saranno trasferiti nella sede di Verona e c'è preoccupazione per stipendi per i disagi personali e della gente Lo hanno detto e ridetto i dati, gli avvocati, il sindaco Rettondini e molte altre categorie professionali: il tribunale di Legnago è - cosa rara - una realtà efficiente. Una sede dove per le cause, penali e civili, le notifiche, la volontaria giurisdizione - ovvero i casi in cui si decidono i sostegni e le tutele - non si devono attendere tempi biblici. La stessa Commissione giustizia della Camera, quando esaminò il caso della sezione legnaghese, decretò che, per il funzionamento e per il servizio che forniva agli abitanti dei 26 comuni di riferimento, era un presidio da tenere in vita. Invece, tempo un annetto - ieri al tribunale di Soave, anch'esso in chiusura, è già arrivato l'ordine di iscrivere da gennaio le cause a Verona - e lo storico palazzo del tribunale, che fu anche carcere, sarà vuoto.I DIPENDENTI scuotono sconsolati la testa quando gli si chiede un parere su questa decisione: la delusione è palpabile. In tutto sono 12 persone da trasferire, più un giudice togato e tre onorari. Qualcuno dovrà farsi un centinaio di chilometri al giorno. Quasi tutti hanno famiglia e figli, e «il nostro già modesto stipendio sarà ancora più basso», sospirano.
Ma se per il personale si tratterà di adattarsi, pur faticosamente e pur con la consapevolezza che nel «marasma» di un grande tribunale come quello di Verona il lavoro non sarà lo stesso - «e abbiamo lavorato tanto perché le cose andassero bene come vanno ora», dicono - non si possono nemmeno immaginare i disagi che vivranno i cittadini della Bassa che hanno bisogno di giustizia, di un'ingiunzione di sfratto o della nomina di un tutore. I costi sociali, e non solo, lieviteranno alle stelle: «Basti solo pensare», dicono dall'ufficio esecuzioni e notifiche, «ai rimborsi da corrispondere agli ufficiali giudiziari per andare da un punto all'altro della provincia: sono costi per lo Stato. Così come lo sono le lungaggini che dovrà subire chi si attende uno sfratto o l'esecuzione di un'ingiunzione».
«Questo è il cuore della città, come tutte le sue istituzioni», dicono gli avvocati, «quando chiuderà, il paese impoverirà insieme alla sua vita civile».
L'EDIFICIO in cui si amministra la giustizia civile e penale è spazioso e il Comune vi ha investito parecchio: di recente, 250 mila euro per rifare il tetto. Anche qui, come nella maggior parte dei tribunali italiani, il personale scarseggia ma, malgrado ciò, «siamo sempre riusciti a portare avanti bene il lavoro», dicono dall'ufficio della volontaria giurisdizione. «Nel 1991, quando arrivai qui», dice l'addetta, «c'erano 101 richieste di tutela e 13 di curatela da evadere. Oggi ve ne sono 1.000 e i tempi medi di chiusura di un fascicolo complesso non vanno oltre i 4 mesi. Dietro queste richieste ci sono famiglie in difficoltà, disagi veri, bisogni reali di persone che non sono più in grado di provvedere a se stesse. Cosa succederà se i tempi, come è ovvio, di nomina di un tutore si allungheranno?». Una domanda a cui tutti possiamo rispondere facilmente.
QUI IL CITTADINO LO VEDI, bussa alla porta del luogo dove avere una risposta, non deve farsi chilometri e magari poi essere rimandato indietro e rifare altrettanta strada perché la discussione della sua causa è rinviata. Chiudere le sedi distaccate di giustizia fa parte di una filosofia «che non mette al centro il cittadino, con un'amministrazione prossimale, ma di una giustizia autoreferenziale, che guarda solo se stessa, la sua presunta maggiore efficenza», dice il professor Claudio Carcereri de Prati, docente di Storia del diritto all'università e avvocato. Sì, anche il cittadino, con le sue esigenze «scomparirà», insieme al suo tribunale e ad ogni servizio che via via gli viene tolto.
Daniela Andreis
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