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venerdì 25 febbraio 2011

LIBIA CONTENZIOSO INTERNAZIONALE GOLFO SIRTE . IMPORT EXPORT ITALIANO

IL FATTO QUOTIDIANO

L’Italia è  il principale partner commerciale della Libia. Nel 2010 l'Italia ha esportato in Libia merci per 2,38 miliardi di euro, e ha importato per 10,6 miliardi (di cui 7,1 miliardi costituiti da greggio). La lista delle società italiane che hanno investito in Libia, o che hanno soggetti libici nel proprio azionariato, è lunghissima. Eni, che ha a lungo esitato prima di annunciare un parziale rientro dei suoi lavoratori, è il primo operatore internazionale in Libia, con 244 mila barili prodotti in Libia ogni gorno (il 13% circa della produzione del gruppo). Finmeccanica, Saipem, Astaldi, Impregilo, hanno firmato o stanno per firmare  contratti nei settori delle infrastrutture, dell’edilizia, delle forniture militari. Il 7,5% del capitale di Unicredit è detenuto dalla Libia. E la Lybian Arab Foreign Investiment Company (Lafico) ha una quota del 2% in Fiat.




Il  ministri degli esteri UE a Bruxelles, da Franco Frattini , ha cercato di evitare una condanna troppo dura del regime libico. “Nessuna imposizione di modelli esterni in Libia”, ha detto Frattini.
 
 
 
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Stefano Liberti Il Manifesto 15/09/2010


La lunga mano del Colonnello sul tonno rosso

«Ci permetterà di salvare molte vite». Così l'allora ministro dell'interno Giuliano Amato annunciava il 29 dicembre 2007 la firma del protocollo per i «pattugliamenti congiunti» delle coste libiche. Un protocollo che sarebbe entrato in vigore solo a un anno e mezzo di distanza, dopo cioè la firma del «Trattato di amicizia, cooperazione e partenariato» nell'agosto 2008 e la sigla di un ulteriore protocollo di attuazione il 4 febbraio 2009 tra il ministro degli interni Roberto Maroni e il suo omologo libico. Nel protocollo - firmato da quello stesso centro-sinistra che ha votato in massa il Trattato di amicizia e che oggi ne chiede la revisione - si prevede la consegna alla Jamahiriya di sei unità navali da usare «per operazioni di controllo, ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporto di immigrati clandestini».

Da allora, le sei motovedette sono state usate per riportare in Libia gli immigrati intercettati dalle navi militari italiane e rimandate indietro dal maggio 2009 nelle cosiddette operazioni di «respingimento». Ma non solo: vengono usate per i generali compiti di pattugliamento delle coste libiche, come ha dimostrato in modo eclatante l'episodio di domenica sera.

Un compito che appare tanto più sorprendente se si considera che l'estensione delle acque territoriali della Jamahiriya è oggetto di contenzioso internazionale. Tripoli ritiene dal 1975 che le acque del Golfo della Sirte siano parte integrante del proprio territorio e integra quindi nelle proprie acque territoriali l'area di 12 miglia a partire da una linea retta che unisce i due punti di entrata geografici del golfo. Dal 2005, poi, ha stabilito in modo unilaterale una zona di pesca protetta di 62 miglia, all'interno della quale nessuno può pescare senza una particolare licenza. Così, le acque territoriali libiche si estendono a 74 miglia per tutta l'estensione delle coste e raggiungono anche le 100 miglia in corrispondenza del golfo della Sirte. Quando il ministro degli esteri Franco Frattini sostiene che «l'Ariete pescava illegalmente», fa quindi propria una decisione dei libici che né la comunità internazionale né l'Italia hanno mai riconosciuto ufficialmente - tanto che persino il Trattato di amicizia rimanda a «future intese» per risolvere il contenzioso.

Ma perché la Libia ha esteso a dismisura le proprie acque territoriali? Se per alcuni dietro la decisione ci sono ragioni di «sicurezza nazionale» (le acque della Sirtica sono state teatro delle grandi manovre statunitensi negli anni '80 per rovesciare il Colonnello Gheddafi), per altri i motivi sarebbero ben più prosaici. La zona in questione è infatti ricca del pregiatissimo «tonno rosso», specie in via d'estinzione e sottoposta a quote di pesca nel Mediterraneo. A quanto ha denunciato il Wwf, riprendendo un rapporto della «Tuna ranching intelligence unit» (uno studio finanziato dai produttori di tonno rosso spagnoli), per pescare in Libia tonno rosso bisogna necessariamente passare per una società con sede a Tripoli, la Nour-Al Haiat Fishing Co. (Nafco), il cui capo è Alladin Wefati, intimo amico del secondogenito e successore designato del colonnello Seif el Islam Gheddafi. La Nafco stabilisce joint-venture con società spagnole, italiane, francesi asiatiche per pescare il tonno rosso, fornendo anche tutto l'apparato logistico. Secondo lo stesso rapporto, esisterebbero voci non confermate che molto tonno è pescato illegalmente e fuori dalle quote, per poi essere congelato in alto mare in pescherecci asiatici.




I COMMENTI:il problema per la sinistra sono sempre berlusconi gheddafi e c, il tonno rosso,specie in via d'estinzione la sostenibilita della pesca e di conseguenza la sostenibilita ambientale?un problema del wswf 18-09-2010 15:35 - angelo motta

Gheddafi adesso è pesantemente scorretto, la questione del golfo della Sirte fa tacere perché l’Italia ha lo stesso problema con il golfo di Taranto e la territorialità della acque e perciò stiamo zitti.Ma la sinistra oggi si accorge dopo aver preso una sbandata per il poliziotto internazionale-il ferma clandestini-Gheddafi che piace alla destra Berlusconi Maroni l’asse più razzista d’Europa.Ora sappiamo chiederci ancora se quel socialismo che garantisce l’autodeterminazione dei popoli conserva alla nazione la sua ricchezza-ed è giusto-possa sbolognare discorsi deliranti.Non era la dottrina di Bush-che non c’è più per fortuna-è la dottrina della sinistra pacifista, non violenta, e perfino clericale.Essi chiedano a Parlato ed a Capanna cioè coloro che qui hanno inneggiato a Gheddafi ad un socialismo ieri oggi infarcito di Corano e che del socialismo ha poco, come rispetto delle persone e come trattamento per esuli ed immigrati.Parlato scriveva che il colonnello è un fine conoscitore di Rosseau dopo una visita nella sua tenda.Capanna diversamente non si accese fù corretto diplomatico dopo il raid terrorista degli americano nel 1986.Inizia ad esserci una sinistra che tutto ingloba ma che non ha memoria ed ha santa riverenza per le sue teste-ditegli che anche loro sbagliano-Berlusconi è sempre ridicolo ma non solo lui. 16-09-2010 15:00 - tato

quello che e' successo e' il normale comportamento di chi può venire in italia accamparsi in tende e fare lezioni di religione islamica.

i nostri beneamati ministri hanno affermato che il peschereccio non era in regola,mica hanno risposto per le rime come a fatto una 15 di anni fa il ministro inglese. 16-09-2010 12:45 - pascucci amedeo

Se qualche marinaio di quel peschereccio moriva,era per il piombo italiano.

Si pare un paradosso, ma i libici che ci hanno attaccato,lo hanno fatto con una barca di quelle che gli abbiamo regalato per controllare le coste dai "negri".La mitragliata era stata sparata dalle armi di Berlusconi e di questo governo padano.

Uno sbaglio.Il fuoco amico che colpisce ancora.

Quando si mettono dei cani feroci a proteggere la proprietà, può succedere che uno di questi, sbrani il bambino.

Niente paura, erano pescatori.Pensate se erano una barca di ricchi natanti, magari parenti di qualche ministro.

Le "risate" che ci saremmo fatti ai funerali,vedendo il parente che piangeva sulle vittime, che lui aveva contribuito a creare, dando armi e potere a quel criminale di Gheddafi.

Risate amare,perche i morti sono sempre da rispettare!

Ma in che mondo mi fate vivere.Fermatelo che voglio scendere! 15-09-2010 18:50 - mariani maurizio

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