Paragone: “L’Italia si dimostra ancora una volta un finto stato”
FALLITALIA – Il giornalista e conduttore televisivo Gianluigi Paragone: “Con gli arresti in Veneto, lo stato ancora una volta sta dimostrando di non capire un tubo di quello che accade in Italia”
Dalla pagina Facebook del giornalista e conduttore televisivo Gianluigi Paragone:
Dunque abbiamo uno Stato che mostra muscoli e fa la faccia arrabbiata contro i nuovi terroristi serenissimi, una specie di Eta in salsa veneta. Basta guardare le foto per capire la reale entità di questa cosa. Diciamo che si tratta di una operazione politica che vale tanto quanto il furore di quella pattuglia di simil Rambo arrestati: zero.
Lo Stato ancora una volta sta dimostrando di non capire un tubo di quello che accade in Italia. Preferisce sgominare bande di ribelli come se si trattasse di un pericolosissimo clan mafioso. Cazzate buone solo a dare fiato al politicamente coretto. In Italia il pericolo di ribellione c’è. Ma è ancora latente, forse acerbo per lasciare un segno. Potrebbe maturare, certo. E non avrà bisogno di trattori mascherati da carro armato per far saltare in aria un sistema.
La rabbia è intensa, è densa. Tuttavia si arena nella sconsolazione, si stoppa nell’individualismo. Qualche volta lo fa in modo drammatico, autolesionistico come nel caso dei suicidi. Renzi non potrà cavarsela con le parole: chi genera speranza o aspettative usando parole e atteggiamenti di rottura deve sbrigarsi. Come? Sono affari suoi, lo deve fare punto e basta (quando era un outsider giudicava gli altri come se avessero la bacchetta magica, ora la usi lui) perché quella rabbia monta. È destinata a maturare e a provocare lo scoppio. A quel punto cosa farà lo Stato: arresterà i disoccupati? Manderà in galera i precari a vita? Farà retate nei capannoni dove artigiani e piccoli imprenditori non sopportano tasse e burocrazia?
Cosa pensa di fare lo Stato quando i debiti contratti stringeranno come un cappio il collo della gente? O quando le famiglie saranno sfrattate dalle proprie abitazioni? Ce lo dica, perché quel giorno potrebbe arrivare davvero.
Tredici per cento di disoccupati significa un pezzo di Paese che scivola verso la disperazione. E questo dato è destinato a gonfiarsi da qui alla fine dell’anno perché la cassa integrazione non è una busta paga. Contare il 42,3 per cento di giovani senza lavoro significa contare fantasmi. Negli ultimi mesi si sono persi 107 mila posti; quindi non solo il lavoro non si crea ma lo si distrugge pure. Lo Stato pensa davvero che i suoi cittadini non si ribelleranno? Di cosa è figlio l’astensionismo o l’odio verso il Palazzo?
Renzi fa l’indignato di fronte a questi numeri mentre incontra i finanzieri italiani nella City. A chi spiega il jobs act? A Davide Serra, a Colao, a Margherita Della Valle di Vodafone… E all’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco il quale ora è un big di Morgan Stanley (strano no? Escono dai ministeri ed entrano nelle banche d’affari!). Se il nostro premier pensa di affrontare coi finanzieri il dramma di un’economia reale che frana siamo a posto.
Renzi rifletta bene sulla barzelletta che Draghi va in giro a raccontare. Un uomo ha bisogno di un trapianto di cuore. Il medico dice: posso darle il cuore di un bambino di 5 anni. L’uomo risponde: Troppo giovane. Allora le posso dare il cuore di un banchiere di investimento di quarant’anni, rilancia il medico. Non hanno cuore, ribatte il paziente. Allora di un banchiere centrale di 75 anni, propone il medico. E l’uomo: Lo prendo. Perché? Perché non è mai stato usato.
Ecco, la morale di questa crisi è tutta qui. Nella politica senza coraggio e senza visione. E in una finanza senza cuore. Altro che l’eversione in salsa venetista.
Lo Stato ancora una volta sta dimostrando di non capire un tubo di quello che accade in Italia. Preferisce sgominare bande di ribelli come se si trattasse di un pericolosissimo clan mafioso. Cazzate buone solo a dare fiato al politicamente coretto. In Italia il pericolo di ribellione c’è. Ma è ancora latente, forse acerbo per lasciare un segno. Potrebbe maturare, certo. E non avrà bisogno di trattori mascherati da carro armato per far saltare in aria un sistema.
La rabbia è intensa, è densa. Tuttavia si arena nella sconsolazione, si stoppa nell’individualismo. Qualche volta lo fa in modo drammatico, autolesionistico come nel caso dei suicidi. Renzi non potrà cavarsela con le parole: chi genera speranza o aspettative usando parole e atteggiamenti di rottura deve sbrigarsi. Come? Sono affari suoi, lo deve fare punto e basta (quando era un outsider giudicava gli altri come se avessero la bacchetta magica, ora la usi lui) perché quella rabbia monta. È destinata a maturare e a provocare lo scoppio. A quel punto cosa farà lo Stato: arresterà i disoccupati? Manderà in galera i precari a vita? Farà retate nei capannoni dove artigiani e piccoli imprenditori non sopportano tasse e burocrazia?
Cosa pensa di fare lo Stato quando i debiti contratti stringeranno come un cappio il collo della gente? O quando le famiglie saranno sfrattate dalle proprie abitazioni? Ce lo dica, perché quel giorno potrebbe arrivare davvero.
Tredici per cento di disoccupati significa un pezzo di Paese che scivola verso la disperazione. E questo dato è destinato a gonfiarsi da qui alla fine dell’anno perché la cassa integrazione non è una busta paga. Contare il 42,3 per cento di giovani senza lavoro significa contare fantasmi. Negli ultimi mesi si sono persi 107 mila posti; quindi non solo il lavoro non si crea ma lo si distrugge pure. Lo Stato pensa davvero che i suoi cittadini non si ribelleranno? Di cosa è figlio l’astensionismo o l’odio verso il Palazzo?
Renzi fa l’indignato di fronte a questi numeri mentre incontra i finanzieri italiani nella City. A chi spiega il jobs act? A Davide Serra, a Colao, a Margherita Della Valle di Vodafone… E all’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco il quale ora è un big di Morgan Stanley (strano no? Escono dai ministeri ed entrano nelle banche d’affari!). Se il nostro premier pensa di affrontare coi finanzieri il dramma di un’economia reale che frana siamo a posto.
Renzi rifletta bene sulla barzelletta che Draghi va in giro a raccontare. Un uomo ha bisogno di un trapianto di cuore. Il medico dice: posso darle il cuore di un bambino di 5 anni. L’uomo risponde: Troppo giovane. Allora le posso dare il cuore di un banchiere di investimento di quarant’anni, rilancia il medico. Non hanno cuore, ribatte il paziente. Allora di un banchiere centrale di 75 anni, propone il medico. E l’uomo: Lo prendo. Perché? Perché non è mai stato usato.
Ecco, la morale di questa crisi è tutta qui. Nella politica senza coraggio e senza visione. E in una finanza senza cuore. Altro che l’eversione in salsa venetista.
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